La reputazione di Scarlett Johansson affoga in una bottiglietta di SodaStream?

La star Scarlett Johansson ancora sotto i riflettori della scena mondiale, ma questa volta non per una candidatura all’Oscar, bensì per la nuova campagna pubblicitaria Sodastream per la quale ha prestato il suo volto; una campagna diventata virale in poche ore, raggiungendo 2 milioni di visualizzazioni in rete e oltre 5000 tweet.
Per la scelta di essere diventata la testimonial della bevanda gassata Sodastream, azienda accusata di accrescere povertà nelle comunità palestinesi, Scarlett Johansson ha dovuto dimettersi dopo 8 anni dall’incarico di “ambasciatrice” della OXFAM (Organizzazione Internazionale Contro la Povertà): la notizia ha fatto il giro del mondo scatenando un vero e proprio fenomeno mediatico che ha coinvolto tutti i principali quotidiani italiani che hanno dato grande risalto al caso nelle loro edizioni cartacee e sul web.
Teatro della diatriba anche i social network, su cui l’attrice ha attirato a sè le critiche degli utenti e dei gruppi di attivisti per i diritti umani, che si sono scatenati a colpi di hashtag in merito alla scelta sostenuta dall’attrice; polemiche che inevitabilmente sono andate ad intaccare la reputazione dell’attrice stessa che si è difesa attraverso un comunicato in cui afferma il suo grande impegno umanitario nel corso degli anni. La Johansson, per ridurre i danni alla sua immagine, potrebbe chiedere qualche consiglio alla collega Kristin Davis, protagonista di Sex and the City, che anni fa si è trovata nella sua stessa situazione dopo aver deciso di lasciare Oxfam per dare il suo volto ad un’azienda di cosmetici statunitense.
Ad aggravare la situazione ci ha pensato anche il Super Bowl che ha deciso di censurare lo spot pubblicitario della Johansson perché viola le norme sulla concorrenza per un riferimento negativo esplicito a Coca Cola e Pepsi, i due sponsor più importanti dell’evento.
Certo è che, con questo storytelling più indotto che condotto, l’azienda Sodastream ha raggiunto livelli di popolarità perlomeno inaspettati in pochi giorni e in tutto il mondo. Ora sarà interessante vedere come l’azienda potrà razionalizzare questa improvvisa punta di visibilità in una strategia di brand positioning a livello internazionale, e soprattutto se il matrimonio con Scarlett Johansson proseguirà.

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03 febbraio 2014

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L’Automobil Club tedesco falsifica il Concorso Auto dell’Anno e la reputazione del premio crolla

A volte la partecipazione dei sostenitori alle iniziative di una pur potente associazione non è proprio data per scontata: così il più grande club automobilistico tedesco, l’ ADAC, corrispettivo della nostrana ACI, ha gonfiato un po’ le cifre dei partecipanti al sondaggio per proclamare l’auto vincitrice del Concorso per l’Auto dell’anno. Il concorso vede il conferimento del prestigioso premio “Angelo Giallo”,  indetto dall’ADAC stesso e proclamato attraverso la rivista Motorwelt, che conta una diffusione in 16 milioni di copie a fronte dei 19 milioni di iscritti all’Automobil Club.

Una brama di numeri e di cifre importanti, che faceva impallidire anche le ambizioni più legittime con un risultato di poco più di 3mila votanti su un bacino così vasto di potenziali partecipanti. L’automobile vincente, la Volkswagen Golf, si è comunque piazzata in cima alla classifica: però, invece di 34299 voti come dichiarato dall’ADAC, ad un controllo approfondito  si sono rivelati approssimativamente cento volte di meno i voti elargiti all’auto simbolo di potenza tedesca.

L’ADAC è corsa immediatamente ai ripari esigendo le dimissioni del direttore responsabile della comunicazione Michael Ramstetter che si è preso la responsabilità dell’accaduto scusandosi per il comportamento scorretto, dichiarando di essere l’unico a conoscenza dei fatti, mentre il presidente del club Karl Obermair ha tenuto a precisare che “solo i dati” erano gonfiati e non l’effettivo esito del concorso.

Ma, come in una democrazia in cui si reca alle urne meno dell’ 1% degli aventi diritto, si può dire che l’esito del concorso sia davvero rappresentativo della scelta dei consumatori sull’auto vincente?

L’ADAC ha un enorme potere di influenza sulle decisioni d’acquisto nel settore automobilistico, e a ben vedere una cifra così irrisoria di votanti, oltre a essere difficilmente rappresentativa della scelta dei restanti 18996591 iscritti all’associazione, non rende sicuramente orgogliosi i vertici dell’ADAC. Con una reputazione di ferro da difendere, hanno ritenuto tanto meglio falsificare i dati piuttosto che ammettere la debolezza della loro presa sul pubblico.

Come risultato la maggior parte dei tedeschi ha dichiarato di non avere più fiducia dell’Automobil  Club, secondo un sondaggio di BILD  il 60% degli intervistati ritiene che la reputazione dell’ADAC abbia fortemente risentito dello scandalo.

Da parte sua, Volkswagen prende le distanze dall’accaduto e dichiara che non intende fregiarsi del riconoscimento truffaldino nell’albo dei suoi premi né a scopo promozionale per la Golf. Scelta che probabilmente in campo pubblicitario frutterà ancora meglio.

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23 gennaio 2014

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L’Automobil Club tedesco falsifica il Concorso Auto dell'Anno e la reputazione del premio crolla

A volte la partecipazione dei sostenitori alle iniziative di una pur potente associazione non è proprio data per scontata: così il più grande club automobilistico tedesco, l’ ADAC, corrispettivo della nostrana ACI, ha gonfiato un po’ le cifre dei partecipanti al sondaggio per proclamare l’auto vincitrice del Concorso per l’Auto dell’anno. Il concorso vede il conferimento del prestigioso premio “Angelo Giallo”,  indetto dall’ADAC stesso e proclamato attraverso la rivista Motorwelt, che conta una diffusione in 16 milioni di copie a fronte dei 19 milioni di iscritti all’Automobil Club.

Una brama di numeri e di cifre importanti, che faceva impallidire anche le ambizioni più legittime con un risultato di poco più di 3mila votanti su un bacino così vasto di potenziali partecipanti. L’automobile vincente, la Volkswagen Golf, si è comunque piazzata in cima alla classifica: però, invece di 34299 voti come dichiarato dall’ADAC, ad un controllo approfondito  si sono rivelati approssimativamente cento volte di meno i voti elargiti all’auto simbolo di potenza tedesca.

L’ADAC è corsa immediatamente ai ripari esigendo le dimissioni del direttore responsabile della comunicazione Michael Ramstetter che si è preso la responsabilità dell’accaduto scusandosi per il comportamento scorretto, dichiarando di essere l’unico a conoscenza dei fatti, mentre il presidente del club Karl Obermair ha tenuto a precisare che “solo i dati” erano gonfiati e non l’effettivo esito del concorso.

Ma, come in una democrazia in cui si reca alle urne meno dell’ 1% degli aventi diritto, si può dire che l’esito del concorso sia davvero rappresentativo della scelta dei consumatori sull’auto vincente?

L’ADAC ha un enorme potere di influenza sulle decisioni d’acquisto nel settore automobilistico, e a ben vedere una cifra così irrisoria di votanti, oltre a essere difficilmente rappresentativa della scelta dei restanti 18996591 iscritti all’associazione, non rende sicuramente orgogliosi i vertici dell’ADAC. Con una reputazione di ferro da difendere, hanno ritenuto tanto meglio falsificare i dati piuttosto che ammettere la debolezza della loro presa sul pubblico.

Come risultato la maggior parte dei tedeschi ha dichiarato di non avere più fiducia dell’Automobil  Club, secondo un sondaggio di BILD  il 60% degli intervistati ritiene che la reputazione dell’ADAC abbia fortemente risentito dello scandalo.

Da parte sua, Volkswagen prende le distanze dall’accaduto e dichiara che non intende fregiarsi del riconoscimento truffaldino nell’albo dei suoi premi né a scopo promozionale per la Golf. Scelta che probabilmente in campo pubblicitario frutterà ancora meglio.

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Reputazione a rischio per Yahoo: è più importante la qualità dei servizi o la popolarità dei suoi spokesman?

Siamo abituati a scandali che sanno di frode e manomissione, ma molto spesso ci dimentichiamo che gli errori vengono fatti anche dalle compagnie, onnipotenti, che ci forniscono quotidianamente servizi sul web. Servizi che ormai, senza esagerare, sono considerati primari per la frequenza con cui li utilizziamo e per l’assuefazione che abbiamo nei loro confronti, quasi a sfociare nella dipendenza. E cosa succede quando, ignari utenti, è proprio una di quelle piattaforme che consideriamo fari nel mondo del web, ad infilare nei nostri dispositivi degli odiosi malware?

Yahoo! e tutte le pagine del suo network sono state infettate, si suppone a partire dal 30 dicembre 2013, con un malware che ha raggiunto all’incirca 300mila device infettandone 27mila secondo Yahoo!, più di 2 milioni secondo altre fonti, attraverso un banner pubblicitario che se cliccato installa uno di quei fastidiosi programmi ombra che succhiano dati dalla navigazione e sono particolarmente ostici da eliminare. Le scuse ufficiali dell’azienda, “ i banner non erano nelle linee-guida  e sono stati prontamente rimossi”,  sono arrivate solo il 3 Gennaio,  quando la società di servizi per la sicurezza informatica Fox It ha rilevato il problema.

Yahoo!, quarto sito al mondo per traffico, non naviga in buone acque in quanto a reputazione: l’azienda, infatti, continua ad apportare innumerevoli modifiche tecniche ai propri servizi per restare competitiva e non soccombere alla dura concorrenza, ma agli utenti sembra non bastare, tanto che hanno invaso il Customer Care su Twitter pregando l’azienda di evadere le continue richieste di assistenza.

Il risultato? Il Customer Care si affanna per fornire le risposte giuste agli utenti che però continuano a non rimanere molto soddisfatti.

Per rimediare a questo fail che in pochi giorni ha fatto il giro del mondo, raggiungendo sabato scorso anche le pagine di cronaca estera de Il Giornale, Yahoo! Ha deciso di far entrare in campo il CEO-star Marissa Meyer puntando su di lei tutti i riflettori dell’ultima edizione appena conclusasi del CES 2014. La Meyer è salita sul palco del Theatre di Las Vegas sfidando senza mezzi termini i competitor più agguerriti, Google e Facebook, e dando l’assalto ai media tradizionali.

Yahoo avrà forse pensato che giornalisti e utenti, attratti dal carisma e dalla bravura incontestabile della manager, avrebbero tralasciato la qualità dei servizi loro offerti e avrebbero dimenticato i disagi subìti. Strategia di poco successo visto che al momento la rete non perdona la cattiva gestione della crisi da parte del Management: su Twitter la polemica incalza, staremo a vedere se oltre alla reputazione anche gli affari dell’azienda  subiranno duri contraccolpi in futuro.

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22 gennaio 2014

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La reputazione di Meridiana non passa l’esame del personale di bordo

Una mail che sa di presa in giro quella inviata nei giorni scorsi dalla compagnia aerea Meridiana, in cui annuncia ai suoi dipendenti l’arrivo delle nuove uniformi per rafforzare l’immagine del gruppo… peccato che la maggior parte di queste rimarranno nella naftalina a lungo visto che l’azienda sarda, impegnata a ridurre la flotta, il personale e il costo del lavoro, ha messo in cassa integrazione oltre 1.300 dipendenti, tra piloti e assistenti di volo.

L’odore della naftalina, si sa, fa fatica a scomparire, un po’ come la polemica che si è abbattuta in questi giorni sull’azienda, che sembra provarci gusto a ficcarsi nei guai e a mettere in discussione la propria reputazione.. risale infatti a non molto tempo fa l’ultima volta in cui Meridiana si è trovata nell’occhio del ciclone, dopo che aveva elegantemente invitato le sue hostess a dimagrire per entrare in una divisa taglia 40-42; “non dovete ingrassare, e anzi, se è possibile, dovete dimagrire”, l’invito della moglie dell’ex AD. La polemica ha travolto  i principali quotidiani nazionali e diverse testate femminili hanno accolto lo sfogo delle hostess, che non hanno accettato il tentativo altamente lesivo e discriminatorio da parte dell’azienda.

La novità annunciata via mail da Roberto Scaramella, AD di Meridiana, com’era prevedibile non ha provocato alcun entusiasmo tra i cassaintegrati, suscitando al contrario una grande indignazione, ripresa a più mani sui quotidiani e settimanali di questi giorni, che hanno sottolineato l’incoerenza della compagnia aerea che, di fronte al licenziamento di migliaia di persone, ha pensato di rinnovargli il guardaroba.

Diversamente da quanto capitato alle colleghe EasyJet e British Aiways,  nel caso di Meridiana la polemica al momento si concentra principalmente sulla stampa e sui relativi portali, senza alcun riflesso sull’ imprevedibile universo dei social network, su cui sembra invece che l’azienda abbia il perfetto controllo, rispondendo in tempo reale a tutte le richieste degli utenti, 24h su 24h.

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20 dicembre 2013

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Armani – Della Valle: sfida a colpi di stile

La settimana della moda milanese si è appena conclusa scatenando un’imponente polemica riguardante lo scontro tra i due big del made in italy, il patron di Tod’s Diego Della Valle e il celebre stilista Giorgio Armani.

Al centro della polemica il denaro che Della Valle finanzierà per il restauro di uno dei monumenti storici italiani capitolini, il Colosseo, restauro che consentirà all’imprenditore marchigiano di sfruttare l’immagine del celebre monumento per i suoi brand, Hogan, Tod’s e Fay, per ben 15 anni. Nella giornata di venerdì Della Valle ha lanciato il suo appello a Giorgio Armani, definito con l’epiteto “vecchietto arzillo”, invitandolo pubblicamente a fare qualcosa per la sua città, Milano, città in cui lo stilista ha investito miliardi di € per l’apertura di numerosi negozi, un albergo e un ristorante.

Lo stilista ha atteso che terminasse la sua sfilata prima di rispondere al patron di Tod’s, mostrando, senza grandi giri di parole, di non aver apprezzato la sua provocazione. “Non ho bisogno che mi si dica cosa fare. Lo faccio in silenzio e con i miei soldi, non con quelli degli azionisti”. La contro risposta di Della Valle non si è certo fatta attendere e, in un comunicato ufficiale, ha dichiarato di essere profondamente dispiaciuto e sorpreso della sua risposta, aggiungendo che il suo era semplicemente un auspicio affinché coloro che ne hanno la possibilità, investano il loro denaro per il bel paese.

Nella giornata di martedì la notizia è rimbalzata sui principali quotidiani italiani e portali online, scatenando inoltre un acceso confronto sui social network tra i sostenitori del patron di Tod’s e quelli dello stilista, i cui nomi si sono trasformati negli hashtag più utilizzati della giornata, circa 1000 tra #dellavalle #armani.

Certo è che il celebre imprenditore avrebbe potuto rivolgere il suo gentile monito allo stilista in privato e non certo attraverso i giornalisti. Come mai Della Valle sta cercando di attirare l’attenzione dei media verso di sé e verso la sua azienda guarda caso proprio nel primo anno in cui Tod’s sfila durante le sfilate milanesi? Sarà questo un caso oppure c’è una strategia mediatica dietro alle provocazioni dell’imprenditore?

 

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25 settembre 2013

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