La crisi American Airlines più veloce sui social che in comunicazione interna

Crisi impegnativa e “virale” per i consulenti di comunicazione dell’American Airlines, che la scorsa settimana, hanno gestito le complesse attività di customer service e di crisis management dell’azienda, dopo che un serio problema informatico ha impedito a oltre 100 aerei di decollare nella giornata di martedì 16 aprile. Una delle più grandi compagnie al mondo è stata infatti costretta a cancellare centinaia di voli, lasciando a terra migliaia di passeggeri negli aeroporti degli Stati Uniti. Con l’aggiunta, per il social media team, che le lamentele degli utenti si sono riversate interamente sui canali social aziendali.
Dalle prime ore di martedì fino al tardo pomeriggio di venerdì 19 aprile, il profilo twitter dell’American Airlines è stato letteralmente sommerso dai messaggi degli utenti, dalle richieste di rimborso e dalle informazioni in merito al ripristino dei servizi, costringendo il team digital ad attivare conversazioni one to one, e ad agire con estrema rapidità. Per ottimizzare il commitment nei confronti dei passeggeri, risultando il più possibile credibili e coinvolti, il 17 aprile, l’azienda ha affidato il racconto degli avvenimenti e delle soluzioni adottate per ripristinare efficacemente i servizi, al volto e alla voce del proprio amministratore delegato – Tom Horton che, dal canale youtube della compagnia, ha spiegato quanto stava accadendo in un video: “Ci scusiamo sinceramente con i nostri clienti per questi disagi, e ringraziamo la nostra squadra per gli sforzi straordinari compiuti oggi”, ha affermato l’ad. Il filmato è stato visto oltre  15.000 volte, con gli utenti che si sono divisi tra quanti ringraziavano l’ad e American Airlines per aver fornito informazioni puntuali e precise sulla situazione durante l’emergenza e tra chi, al contrario, si è sentito abbandonato o poco ascoltato.

Secondo il The New York Times, però, la crisi non è stata gestita nel migliore dei modi, considerando che, soprattutto nelle fasi iniziali a Dallas, il personale di terra non era al corrente di quanto il team digital stava comunicando attraverso i social. Con la conseguenza che alcuni passeggeri in possesso di uno smartphone o di un lap top connesso alla Rete erano più informati che il personale della compagnia. Dettaglio non trascurabile la condivisione della visione d’insieme, considerando che durante una situazione di crisi la comunicazione interna tra tutti i dipendenti dell’azienda rappresenta proprio la leva strategica necessaria per garantire una coerenza tra la strategia di crisis communication individuata e il comportamento dell’organizzazione. E se è vero che il pubblico è più propenso a perdonare un’azienda dal modo in cui ha saputo gestire una crisi, rispetto a condannarla per il fatto in sé … vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi al business di una delle più grandi compagnie aeree al mondo …

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22 aprile 2013

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Stirling Moss e le pari opportunità nella Formula Uno

Scivolone clamoroso per Stirling Moss, la leggenda automobilistica inglese, che da stimato professionista delle quattro ruote, è arrivato all’attenzione della cronaca internazionale per le dichiarazioni che alcuni giorni fa ha rilasciato alla Bbc Radio 5 Live. Dopo essere stato interrogato sull’assenza di piloti del gentil sesso in F1 ha infatti espresso in questi termini la sua opinione: “Credo che le donne abbiano la forza per guidare in F1, ma non hanno l’attitudine mentale per una corsa aggressiva, ruota a ruota”. La reazione della poche donne della Formula Uno, dell’opinione pubblica e dei media e non si è fatta attendere, dando vita a un’escalation mediatica che dall’Inghilterra è rimbalzata in tutto il mondo, arrivando fino alle pagine del Corriere della Sera e de La Stampa.

Inutile negare che l’attenzione dei media riservata al mondo delle donne e ancor più al dibattito sulle opportunità di genere o al contrario sui gender gap è altissima, e Stirling Moss affrontando con troppa leggerezza un tema così delicato, ha perso un’importante occasione per dimostrare le sue larghe vedute. Occasione che, al contrario, è stata colta dal dirigente Bernie Eccelstone che ad inizio aprile, perfettamente consapevole dei meccanismi mediatici e dei probabili interessi degli sponsor, ha aperto le porte alla possibilità di una donna pilota nel Circus: “Una donna al volante? E perché no? Non c’è motivo per cui non debba accadere, sempre se troviamo un team che ne ingaggi una”.

Le donne correranno mai al pari degli uomini? Il dibattito è aperto … nel frattempo, il gentil sesso può trovare conforto in una ricerca inglese che, confrontando le offerte di una cinquantina di società di autonoleggio on-line, ha affermato che le donne sono guidatori migliori degli uomini. Secondo il rapporto, infatti, le guidatrici sembrerebbero superare i maschi per conoscenza delle regole di circolazione, per numero di penalizzazioni sui punti della patente, nonché per coscienza della velocità e dei rischi connessi. … dite che Stirling Moss avrà letto il rapporto?!

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17 aprile 2013

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Guai in vista per la reputazione di Zara

Accuse gravissime che, se confermate, potrebbero creare non pochi problemi all’impero del miliardario spagnolo Amancio Ortega – e alla reputazione di  Zara.
I vertici dell’Ong argentina La Alemada hanno infatti denunciato alle autorità argentine le condizioni di lavoro dei dipendenti –alcuni ancora bambini- in tre fabbriche del noto marchio spagnolo. Una crisi in piena regola, che porterà sicuramente conseguenze sull’atteggiamento dell’opinione pubblica e del Mercato verso il brand: lo sfruttamento del lavoro e il lavoro minorile rappresentano infatti tematiche in grado di infiammare il dibattito anche a livello mediatico.
In attesa che le indagini proseguano l’azienda si è chiusa in un sordo “no comment”:  nella press room del Gruppo Inditex, a cui fa capo anche Zara, non appare nessun statement ufficiale. Qualora le accuse fossero confermate, è difficile pronunciarsi sull’evoluzione che avrà la vicenda, e sulle ricadute sull’immagine e sulla reputazione del brand. Di certo, quello che Zara non potrà che evitare è un atteggiamento poco chiaro nei confronti dei propri consumatori e, azzarderemmo, di tutti gli stakeholder. Dimostrandosi, all’opposto, estremamente trasparente. Minimizzare i fatti e scaricare le colpe, infatti, in alcune occasioni, può rivelarsi estremamente controproducente, perché espone l’azienda al rischio di essere smascherata. Così com’è accaduto a NIKE nel 2000. Tredici anni fa, infatti, la multinazionale fu accusata di sfruttamento del lavoro minorile in Cambogia. Inizialmente l’azienda negò ogni accusa, dichiarando che impiegava solo ragazze sopra i 16 anni. Ma un’inchiesta di una tv americana smentì la multinazionale, filmando le fabbriche dove lavoravano eserciti di bambine. All’epoca la vicenda fu un duro colpo per l’immagine, per la reputazione e per la business continuity della NIKE, superata negli anni, solo grazie ad un maggiore controllo dei processi e dei fornitori, e ad un importante lavoro di revisione strategica sugli asset tangibili e intangibili corporate, di brand e di prodotto. Revisione, a cui ha peraltro contribuito anche Pierdonato Vercellone un fior di professionista Made in Italy che ai tempi era il Direttore della Comunicazione della multinazionale col baffo.

Oggi, grazie a quel cambio di rotta, i cosiddetti teens, che sono al contrario coinvolti dalle campagne NIKE di responsabilità sociale e iniziative di comunicazione e di sensibilizzazione a favore dell’infanzia, non associano nemmeno più al colosso americano dell’abbigliamento le immagini dei bambini sfruttati nel sud est asiatico e delle contestazioni del movimento no-global.

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10 aprile 2013

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Lo scivolone della Patton e le lezioni di pari opportunità a Princeton

Scivolone clamoroso per la human relations consultant ed ex “princetoniana” Susan Patton che, da stimata (ma sconosciuta ai più) professionista, è arrivata all’attenzione della cronaca internazionale per una lettera inviata (e pubblicata) al giornale del prestigioso college americano. Nella missiva, la Patton lanciava un accorato appello alle studentesse di Princeton perché si impegnassero a sposare un compagno di corso prima della laurea: scegliere un compagno d’elite (economica e intellettuale) rappresenterebbe infatti, secondo la contestata consulente HR, la ricetta per una vita felice.

La reazione della comunità universitaria, dell’opinione pubblica e dei media e non si è fatta attendere, dando vita a un tam tam virale che dal web è arrivato alle pagine del The New York Times, rimbalzando fino a Repubblica. Attaccata da più fronti, la Patton non è riuscita a difendere la propria tesi dalle critiche dei detrattori. Una brutta figura che ricorda quanto accaduto ad un’altra –e ben più celebre- ex pricentoniana, Anne Marie Slaughter (professoressa di Scienze politiche, prestata alla politica dal 2009 al 2011 per fare la direttrice della pianificazione delle politiche al Dipartimento dei Stato Usa con Hillary Clinton ), rea di aver firmato un articolo nel quale sottolineava come per intraprendere alcune carriere fosse del tutto necessario rinunciare alla famiglia. E tornando alle vicende della Patton, a ben vedere,  l’unico che forse beneficia della polemica è proprio il blasonato college che, viste le reazioni di alunne ed ex studentesse, certo non può essere accusato di educare le donne ad accettare passivamente lo status quo –di cui il gender gap è una delle manifestazioni-.  Un ottimo risultato per un’università dove le donne sono state ammesse per la prima volta solo trent’ anni fa (e oggi sono il 56 per cento)!

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Il pizzo è di moda? Nuove lezioni di bon ton a Louis Vuitton

Mentre in Sicilia il commercio al dettaglio si fa sempre più responsabile, lo scandalo legato alle interferenze mafiose nei lavori di ristrutturazione del porto di Trapani -in occasione dell’organizzazione della “Louis Vuitton Cup”-, getta in cattiva luce il noto brand della lusso. Come riporta il sito del Sole 24 Ore sono state infatti rilevate  “anomalie nelle forniture di opere per l’America’s Cup realizzate nel capoluogo siciliano con la regata Louis Vuitton act 8 e 9, che rientrava nei Grandi Eventi della Protezione civile”. Ed anche se il brand non è direttamente coinvolto nella vicenda, i fatti saranno sicuramente oggetto di attenta osservazione da parte dei responsabili della comunicazione di LV, reduci dal polverone che ha recentemente suscitato il video scandalo delle modelle-prostitute, ispirato alla nuova collezione e realizzato dalla rivista Love.

Due passi falsi in meno di un mese che stridono con le dichiarazioni recentemente rilasciate dal numero uno di Lvmh Bernard Arnault, che indicava invece, proprio nella maggiore attenzione al valore del brand, la nuova strategia del marchio più importante del gruppo. E se gli sviluppi dell’inchiesta è meglio lasciarli alla cronaca giudiziaria, a noi, da qui, resta il compito di monitorare le prossime attività di comunicazione di un marchio troppo importante e che ha sempre dimostrato una grande focalizzazione sui propri asset intangibili e da cui, ora, aspettiamo una strategia focalizzata sulla brand reputation …

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09 aprile 2013

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Lo strofinaccio che elimina tutte le tracce … anche la reputazione di chi l’ha ideato e prodotto

Crediamo sia inutile dare spazio e soprattutto analisi ad una boutade come quella prodotta da Clendy e dal suo responsabile marketing Stefano Antonelli. E’ invece sufficiente, per quel che ci riguarda, citare chi l’ha pensata e l’ha prodotta, con un pizzico di dispiacere.
Nella speranza che possano un giorno dichiarare l’unica frase che ne ristabilirebbe la reputazione: “e’ stato un errore, scusateci”.

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02 aprile 2013

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