Gasparri mina vagante su Twitter. Cosa aspettarsi stasera per #ItaliaCostaRica?

Il tifo italico per i mondiali di calcio è racchiuso simbolicamente in tutta la sua potenza indiavolata nella scena epica de “Il secondo tragico Fantozzi”, ma anche negli spot di aziende nazionali e di famiglia come Nutella, Barilla e Peroni, che ciclicamente lo raccontano con passione, esaltandone i valori di unione e amicizia.
Allineandosi invece al fanatismo della stampa estera più aggressiva, che ogni qualvolta gli azzurri scendono in campo titola all’attacco di “spaghettari, pizza e mandolino”, un esponente della nostra classe politica ha mostrato la faccia più brutta dello spirito sportivo. Di chi si tratta? Ma di Maurizio Gasparri, non un novellino nell’uso scorretto di Twitter. Infuocato già il profilo lo scorso ottobre con quel minaccioso “Go home” indirizzato a Barack Obama, le risse intercorse con Formigoni e Schifani, frammezzate dalla stroncatura a “La grande bellezza” dopo la lunga bagarre con Paolo Virzì, per Inghilterra-Italia il vicepresidente del Senato ha sfoderato un atteggiamento che neanche il più rabbioso degli ultras. Assalito da un’eccitazione incontrollabile per i goals di Marchisio e Balotelli, ha mitragliato compulsivamente prima contro la Regina Elisabetta e il popolo di Sua Maestà, poi contro ogni utente che gli capitasse a tiro, finendo per attaccare Wired, reo di avere pubblicato un articolo in cui chiedeva per il bene del deputato di Forza Italia che gli venisse tolto lo strumento dalle mani.

Un abuso delle possibilità concesse dal web circa la manifestazione del pensiero libero, preso letteralmente alla lettera con l’aggravante di provenire da un rappresentante delle Istituzioni. Il tutto peraltro in occasione di un match ben giocato, dove entrambe le squadre e tifoserie si sono distinte per compostezza e rispetto reciproco. Fratelli d’Italia, l’Italia non s’è destata dalle solite volgari polemiche, fedeli più che alla maglia ad un linguaggio, che rimane sempre uguale, sia esprimendosi tra le pareti dei palazzi, sia rimbombando nella cassa di risonanza digitale.
Ma siamo sicuri che sia ignaro di Social Media Marketing? In barba alla reputazione la curiosità ha prevalso, regalando alla pagina di Gasparri una costante crescita di follower ed un aumento della visibilità del senatore, al centro dell’attenzione nell’ultima settimana con quasi 13.000 tra tweets e mentions.
Che perle aspettarsi stasera che affrontiamo il Costa Rica, soprattutto ora che l’Uruguay ha rimesso in discussione il girone? Indignazione per gli slogan dopo la vittoria, ma un pareggio rischierebbe di compromettere la diplomazia, anche degli utenti più pacifici.

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20 giugno 2014

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LeBron James crea un crampo alla reputazione di Gatorade

Coca cola e Pepsi, Apple e Microsoft (ora sostituita da Samsung), Milan e Inter. Se ne scegli uno, difficilmente lo tradirai con l’altro. Di generazione in generazione, i brand storicamente rivali si fronteggiano a colpi di sfide per rafforzare la fedeltà dei propri consumers, spingendosi su sfere emozionali che trascendono dal prodotto in vendita, tanto da aggiudicarsi in alcuni casi l’appellativo di love marks.
Lo spirito della competizione però fa scappare talvolta la mano anche alle aziende leader di settore, con azzardate azioni di marketing che remano a discapito del fair play.

L’ultimo passo falso l’ha compiuto Gatorade nei confronti dell’avversario con il quale si contende il primato nel campo degli energy drink, Powerade. Un tiro fuori dal canestro, lanciato dall’account ufficiale di Twitter con una serie di messaggi che attribuivano al crampo accusato durante una partita dal giocatore LeBron James , testimonial di Powerade, la scelta della bevanda vitaminica sbagliata. “Aspettavamo a bordo campo, ma lui preferisce bere qualcos’altro” è stato il primo punzecchiamento digitato. E ancora: “La persona con i crampi non è un nostro cliente. I nostri atleti reggono bene il calore” ha rincarato il social media manager, che malgrado il pay off del marchio reciti “Is it in you?”, in quel momento non doveva essere in sé.
Beffato ulteriormente dall’indiscrezione secondo cui in realtà LeBron berrebbe Gatorade nella vita di tutti i giorni, il comunicato stampa di scuse non ha limitato gli effetti dello sgambetto infantile, che ha continuato ad essere subissato di proteste degli utenti, nel totale silenzio del vicino di scaffale.

La provocazione cinica, causata dalla bruciatura di non avere sotto contratto il cestista del NBA tra i più ambiti dai pubblicitari, ha rimbalzato indietro l’occasione ghiotta di un evento che calamitava l’attenzione di milioni di spettatori e che poteva essere sfruttato seguendo l’esempio furbo di Oreo, durante il blackout del Super Bowl 2013.
Considerando inoltre il grande seguito che ha lo sport – di cui le bottigliette fortificanti in fondo sono semplice supporto – sarà facile per i tradizionali acquirenti, delusi e disaffezionati, traghettarsi in altre “acque”. Vale a dire che se Gatorade vorrà evitare perdite nelle vendite, nella prossima produzione per fare dimenticare l’accaduto le toccherà aggiungere alcool al composto di sali minerali.

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13 giugno 2014

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Gli Emirati Arabi battono a colpi di social l’EXPO 2015

Ormai si sa, l’EXPO 2015, evento di livello mondiale, è sicuramente il più atteso dell’anno prossimo. A contraddistinguere questa esposizione universale rispetto agli anni precedenti saranno sicuramente il target dei giovani e la sua vita “social”, o almeno è quello che ci si aspetta. A meno di un anno di distanza dall’inizio di questo evento i canali social dedicati sono già stati avviati, da Twitter a Pinterest l’EXPO ha iniziato ad affermare la sua presenza sul web. Fino a qui niente di sorprendente; quello che lascia invece un po’ sorpresi è che i canali social dell’EXPO 2015 sono già stati superati sui basics dell’attività di engagement dall’EXPO del 2020, a cui mancano “solo” 6 anni.

Facendo un primo paragone si vede subito il netto distacco tra i due canali principali, su Facebook l’EXPO 2015 conta più di 66 mila fan mentre l’EXPO 2020 già ne conta più di 1 milione. Su Twitter si trova una situazione simile, l’evento che si terrà a Dubai ha più di 144 mila follower mentre l’esposizione dell’anno prossimo ne ha solo 42 mila. Una situazione abbastanza insolita considerando che l’evento italiano inizierà fra meno di anno, va detto però che a livello di attività e coinvolgimento lo scenario cambia un pò. Per quanto riguarda l’attività su Twitter, ad oggi l’EXPO 2015 ha cinguettato più di 11 mila volte con una media di 33 tweet al giorno, mentre quello del 2020 conta 5 mila cinguettii con una media di 5 tweet al giorno. Bisogna però dire che l’evento italiano ha una media di retweet del 50.8%, dimostrando un alto tasso di interesse da parte dei suoi “seguaci”ma allora perché così poco reach con tanto coinvolgimento? A lasciare ugualmente stupiti è un sondaggio dell’Università Bicocca, che scopre che solo un giovane su quattro è veramente interessato all’evento, e sempre solo uno quattro è al corrente della location in cui si terrà l’EXPO. Non la risposta che ci si aspetta dal target principale dell’evento.

Gli account EXPO 2020 hanno il vantaggio della doppia lingua e comunicando sia in arabo che inglese si riesce a raggiungere un numero più elevato di utenti rispetto alla coppia italiano inglese. Ma la per ora deludente situazione social non si può attribuire solo a una differenza di linguaggio, sicuramente in gioco entra anche la capacità di storytelling e di coinvolgere di chi gestisce gli account. Forse, una parte della “colpa” va anche alla mancata notorietà ed influenza degli account social dell’EXPO 2015. Rossella Citterio, direttore della comunicazione di Expo 2015, ha recentemente confermato che presto partiranno diverse iniziate “social” in grado di valorizzare la manifestazione e grazie a cui il team Social Media Expo, dedicato alla gestione dei canali digitali, riuscirà nel delicato compito di gestione della reputazione e della brand awarness digital di questo importante appuntamento.

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11 giugno 2014

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Barbara D’Urso scambia Michelle Obama per Oprah Winfrey

Nelle ultime ore il nome di Barbara D’Urso è stato tra i più digitati della rete. Per promuovere il lancio della sua nuova rivista “B”, la presentatrice si è infatti resa protagonista di una campagna martellante sui social media, sfociata in una probabile falsa gaffe che ha scatenato il popolo del web. Un hashtag nonsense dedicato ad #Oprah Winfrey, sua versione americana, è stato addossato in un primo momento ad un vistoso fotomontaggio in cui un’emozionata Michelle Obama ghermiva tra le mani l’introvabile Magazine, mescolandosi in seguito impropriamente tra le key words #carmelitasmack! #Oprah #B #Bmagazine #pop #top #tendenzadurso che eleggevano ignari testimonial Raffaella Carrà, Brad Pitt, Bobo Vieri e persino il transessuale vincitore dell’Eurovision Song Contest 2014.

Di personaggi generosi nel mostrarsi il piccolo schermo è naturale dimora, ma se in tanti decidono che la sovraesposizione debba limitarsi alla professione che li ha resi noti (vedi Carlo Conti e Gerry Scotti, stacanovisticamente alloggiati negli studi di Rai e Mediaset), c’è chi non si accontenta della messa in onda e decide di riproporsi in più forme. L’ex Dottoressa Giò non perde occasione per prezzemolare un po’ di se stessa in ogni programma, intervista, storia di vita altrui e dirottare la conversazione sui riflettori del suo privato. Oltre alla programmazione settimanale pomeridiana e domenicale, la conduttrice rimane instancabilmente in compagnia del suo pubblico su Instagram, sul blog di “Carmelita”  nome affettuoso con cui i fan si rivolgono a lei e che rispecchia l’essenza di donna verace e genuina che negli anni la signora di canale 5 ha voluto trasmettere. Tanta sincerità espressa nell’impartire lezioni pratiche su come affrontare gli ostacoli della quotidianità, che stavolta però non sembra essere stata riposta nell’operazione messa in atto. Contrariamente alla spontaneità dell’episodio riguardante Siracusa , più che un epic fail che ha confuso le due donne dalla pelle scura, è probabile che alla base del tag misterioso ci sia stato un tentativo spalmato di brand naming per generare viralità.

La regola del “nel bene o nel male, purché se ne parli” è valsa a pieno titolo, poiché la notizia riguardante l’uscita del mensile è stata riportata da tutte le principali testate, portali online e trasmissioni televisive. Il risultato? Sold out in edicola per il primo numero di B. Passo falso per chi c’è cascato, ma missione compiuta per la presentatrice.

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09 giugno 2014

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Gaffe della Casa Bianca: lo staff di Obama rivela il nome del capo CIA a Kabul

In qualunque ufficio stampa si sa, la fase di lancio di una notizia è sempre un momento delicatissimo, che richiede la massima attenzione. Basta un copia e incolla errato, un allegato sbagliato, e da un click si diffondono in un attimo informazioni compromettenti per l’oggetto della comunicazione giornalistica.

Se però a sbagliarsi è lo staff della Casa Bianca, le conseguenze possono essere irreparabili: E’ accaduto in occasione della visita di Barack Obama in Afghanistan, quando 6.000 giornalisti si sono visti recapitare nella propria casella di posta elettronica la lista dei partecipanti al briefing del Presidente degli Stati Uniti nella base di Bagram, che includeva il nome del capo della Cia a Kabul. Una gaffe clamorosa, degna del più sbadato Leslie Nielsen incaricato di proteggere la Regina d’Inghilterra in “Una pallottola spuntata” , o di uno stagista alle prime armi.

A nulla è valsa la segnalazione del corrispondente del Washington Post agli uomini del Presidente, che hanno cercato di rimediare divulgando un elenco con l’identità depennata, quando ormai era troppo tardi. Nome e cognome erano già in viaggio per il cyber etere, posandosi sugli occhi d’increduli giornalisti (chissà Giulietto Chiesa cosa avrebbe dato per essere in mailing), sulle pagine social e in particolare sugli indiscreti becchi cinguettanti di Twitter.

Non un’azione spionistica comandata dall’Est Europa, né una confidenza sensualmente carpita da una moderna Mata Hari inviata in Medio Oriente, ma paradossalmente un’informazione svelata dall’interno. L’America ha tirato per la prima volta un auto-goal sulle tematiche legate alla security, sbadatamente, perché l’unico precedente che si ricordi è quello di Valerie Plame, la ex 007 la cui identità fu rivelata di proposito dall’amministrazione di George W. Bush per screditare il marito, un ex ambasciatore fortemente contrario all’invasione dell’Iraq.

Gelo e imbarazzo per ora avvolgono la White House. Cosa ne sarà di XXX, se sarà rimosso dall’incarico o spedito in esilio da qualche parte, nessuno lo sa. Quel che è certo è che la sua vita e l’incolumità della sua famiglia sono state messe gravemente a rischio.

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03 giugno 2014

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#myNYPD: quando un hashtag mette in imbarazzo la polizia

Con una presenza quasi inesistente sui social network, la polizia di New York City ha recentemente deciso di rilanciarsi su Twitter creando l’hashtag #myNYPD e di seguire la moda del selfie. L’iniziativa? Farsi una foto con le forze dell’ordine in giro per la città e cinguettarla su Twitter con il nuovo hashtag. Sicuramente il capo della polizia si aspettava un enorme successo con tanto di apprezzamento da parte dei cittadini della grande mela, ma sfortunatamente non è andata così.

I cittadini di NYC si sono scatenati a trasformare l’iniziativa in una vera mostra delle oscenità della polizia, tra foto di proteste e maltrattamenti, #myNYPD è diventato un canale di sfogo contro le forze dell’ordine newyorkesi. Bisogna ammettere che i cittadini americani si sono divertiti a cinguettare in pieno sarcasmo le immagini di violenza, c’è chi all’immagine di un ragazzo trattenuto a terra da quattro poliziotti commenta con “#myNYPD che aiuta un giovane ragazzo ad alzarsi e vestirsi la mattina” o chi addirittura lancia “Cosa offre il tuo dipartimento di polizia? #myNYPD fa massaggi gratis” sotto l’immagine di un ragazzo trattenuto sul cofano di una macchina da tre poliziotti.

Dopo una campagna di sensibilizzazione andata storta con oltre 150 mila cinguettii “sarcastici”, una coverage mondiale che ricopre le forze dell’ordine in scene non proprio sensibili e una guerra di immagini piene di sarcasmo, si sperava in un po’ di tregua per la polizia di NYC, ma al peggio non c’è mai fine… e cosi, non soddisfatto, il popolo della rete ha anche lanciato l’hashtag #myNYPD fail per continuare gli sfoghi contro le forze dell’ordine mantenendo la sua vena comica. Oltre il danno anche la beffa.

Insomma un vero flop per le forze dell’ordine newyorkesi che, nella speranza di ricevere approvazioni digitali dai cittadini, sono finite sotto la lente di ingrandimento nella direzione opposta. A quanto pare, il digital strategist della polizia newyorkese si è scordato la bomba mediatica risultata dal fail dell’hashtag lanciato da JP Morgan, che dopo l’entrata di Twitter in borsa aveva tirato in rete #AskJPM per una sessione di Q&A aperta al pubblico del web. Anche qui il popolo della rete si era scatenato contro l’azienda Americana smascherando al web alcune delle sue azione più politically incorrect: frode di titoli, fondi per i cartelli di droghe, etc.

Ma il commissario della polizia newyorkese William Bratton non sembra così turbato da tutti questi avvenimenti, anzi si ritiene soddisfatto dell’attenzione ricevuta. Una reazione sicuramente più adeguata rispetto a quella di JP Morgan che, a poche ore dai cinguettii negativi aveva deciso di ritirare la sessione aperta al pubblico. Ma alla fine di questa storia va detto che tutto questa coverage la polizia di NYC non lo aveva mai vista, e sicuramente tra tutti i litigiosi ci sarà pur qualcuno che ha apprezzato l’effort per la sensibilizzazione.…

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08 maggio 2014

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