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Coinvolgere gli utenti, creare interazione, stimolare la partecipazione attiva. Qualsiasi progetto di social media management deve oggi necessariamente fare i conti questi imperativi, diventati ormai imprescindibili. Finita la fase dell’engagement infatti, quando il brand raggiunge una certa maturità in termini di awareness, inizia il lavoro più arduo per un social media manager. E’ il momento in cui diventa fondamentale avere una strategia editoriale ben definita e in cui il giusto approccio creativo può fare la differenza tra una pagina che ha semplicemente tanti fan, e una con tanti fan che interagiscono quotidianamente ampliando notevolmente la visibilità del brand.

Molto spesso per raggiungere un buon grado di interazione i brand chiedono ai loro fan un contributo personale che evidenzi il loro legame con il prodotto o con il brand stesso, solitamente in forma di testo, video o foto. Questo tipo di attività, se adeguatamente congeniata, riesce in effetti molto spesso ad attivare positivamente gli utenti, permettendo all’azienda di raccogliere e condividere sul web preziose testimonianze di consumatori entusiasti. L’importante però – perché c’è sempre un però o un imprevisto quando si parla di interazione con persone reali – è prevedere sempre possibili risvolti negativi scegliendo, se necessario, di mantenere il controllo sulla pubblicazione dei contenuti.

Se non avesse seguito queste accortezze, ad esempio, sarebbe stato complicato per IKEA giustificare la presenza di una foto a favore del collettivo femminista delle Pussy Riot, che vede alcune sue aderenti in carcere per istigazione all’odio religioso, sui suoi mezzi di comunicazione online. E’ quanto è successo in Russia, dopo l’avvio di IKEA Russia di una campagna di digital PR in cui si chiedeva ai consumatori di postare sul sito web aziendale una foto all’interno di un punto vendita IKEA per la realizzazione della copertina del prossimo catalogo del colosso svedese. Dopo aver scovato la foto incriminata e averla rimossa dal suo sito web, IKEA Russia ha tenuto – giustamente secondo me – a precisare che «siamo un’organizzazione commerciale indipendente da qualsiasi visione politica e religiosa». Come a dire, ognuno ha la libertà di esprimere le proprie opinioni, ma non può farlo utilizzando i canali di comunicazione di un’azienda. Un peccato, sostiene Marta Serafini dalle pagine web di Corriere.it. In realtà una mossa legittima e secondo me assennata, se fatta su un owned media come il sito web aziendale. Un brand non può permettersi di schierarsi politicamente, né direttamente né indirettamente, attraverso le opinioni dei suoi clienti. Diversamente dai social media, in cui l’utente ha facoltà di esprimere se stesso in tutta libertà, il sito web aziendale rappresenta l’identità digitale dell’azienda, il primo strumento tramite cui costruire la propria reputazione digitale, necessariamente quindi non può racchiudere in sé anche tutte le opinioni dei suoi clienti.

 

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