Formula1

E alla fine ci ha pensato la FIA (Federation Internationale d’Automobile), guidata da Todt, ad allentare il clima di tensione post Gran Premio di Silverstone del 30 giugno scorso, in cui quattro piloti sono stati costretti al ritiro per colpa dell’esplosione dei pneumatici forniti da Pirelli. La Federazione ha infatti autorizzato i team a testare le gomme che verranno usati a partire dal GP di Ungheria, aggirando così quanto imposto dallo stesso regolamento Federale. È dunque un compromesso quello che rimette in pista Pirelli, dopo i gravi episodi di Silverstone e le polemiche che ne sono scaturite. L’azienda lascia nei box il pneumatico 2013, sapendo di essere ora più che mai un sorvegliato speciale e che, per usare un paragone sportivo, occorre recuperare – agli occhi dei team, della Federazione e dei tifosi – le posizioni perse al GP di Inghilterra. D’altro canto, è questo il minimo prezzo da pagare per quei leader di mercato che, volenti o nolenti, si trovano a dover difendere la propria reputazione dalle conseguenze di eventi tanto lesivi per il proprio core business quanto improvvisi. Nel caso di Pirelli e della sua divisione Motorsport, si aggiunge l’aggravante di un palcoscenico internazionale e prestigioso come quello della F1.
Che Pirelli, da domenica, si sia trovata ad affrontare una seria crisi reputazionale è quindi innegabile; crisi che, ancor prima che sui media classici, è scoppiata – come ormai ci hanno ben abituati- sui canali social. E d’altra parte c’era da aspettarselo, questo boom di commenti e critiche, data la crescente interazione tra televisione e canali social che hanno educato il pubblico a commentare in diretta quanto visto, ad interagire e a obbligare i protagonisti a risposte.
Dopo non uno, ma ben quattro esplosioni di pneumatici, il popolo della rete, infatti, si scatena. C’è chi, più ironico di altri, si lancia in battute, augurandosi che, nonostante tutto, la Pirelli resti fedele al proprio core business dato che “Se la Pirelli cominciasse a produrre preservativi, avremmo un’esplosione demografica”, mentre un coro compatto accusa apertamente l’azienda ritenendola unica responsabile per quanto successo, accostando il nome dell’azienda all’hashtag #Tyregate. La pagina Facebook più bersagliata è proprio quella di Pirelli Motorsport, che si trova sommersa di commenti e non sempre rispettosi, tanto da portare gli amministratori a scrivere, nella giornata di martedì, di “essere disponibili al confronto, ma che non sono tollerati post volgari e offensivi”, pena la censura. Una risposta compassata, che sembra nascondere (malamente) un certo fastidio per quell’essere gli unici messi alla berlina in una vicenda così delicata, che trova eco nel comunicato emesso nella stessa serata di martedì – anche se già era palese nel commento post gara di Paul Hembery, direttore Motorsport Pirelli, – ma che emerge lampante soprattutto nel silenzio dell’azienda, sia a livello stampa sia sui canali social, nell’intera giornata di lunedì. Giornata di test sui pneumatici per l’azienda, ma nella quale la stampa internazionale si è interrogata su quanto fosse successo e spesso non nascondendo di avere idee chiare sui colpevoli. Un atteggiamento corretto quello di Pirelli Motorsport di fronte ad una crisi di tali proporzioni?
E’ ancora presto per dirlo, ma la linea di comunicazione messa in atto è stata evidente sin da domenica sera e si riassume nelle parole di Hembery: “Metteremo insieme tutte le prove raccolte per scoprire cosa sia successo e poi intraprendere le azioni che saranno necessarie. Tradotto: le chiacchiere stanno a zero, ora serve verificare che cosa sia successo. La posta in gioco non è solo l’esclusiva delle forniture di pneumatici alla F1; ci sono vite a rischio, quelle dei piloti, a cui ‘non resta che affidarsi a dio’ per parafrasare Massa, ma anche quelle di chi sta a bordo pista. Non può dunque sorprendere se lunedì nulla sia trapelato dall’azienda e si sia dovuto attendere martedì per uno statement ufficiale, ovvero quando Pirelli ha diffuso un comunicato – pubblicato in contemporanea anche su Facebook e a cui sono seguiti una serie di tweet – in cui si mette nero su bianco quanto risultato dai test. Se inizialmente, l’azienda sembra riversare parte delle responsabilità sui team, essa si assume però poi la propria, con Hembery che dichiara di essere rammaricato per quanto accaduto, aggiungendo che mai nulla di simile è successo in oltre un secolo di storia sportiva dell’azienda. Inoltre, il direttore ringrazia pubblicamente la Federazione, la FOM (Formula One Management di Ecclestone) e i team per la disponibilità dimostrata nel trovare una soluzione di concerto e accettare la proposta di Pirelli di fare dei test. Dichiarazione quest’ultima che rivela ben più di quello che dice. Essa, da un lato, mostra come Pirelli abbia tentato, in prima istanza, di gestire gli amplificatori del messaggio negativo, ovvero gli stakeholder. E infatti, i primi interlocutori di Pirelli Motorsport sono stati i team, gli organizzatori della F1 e i piloti, a cui non sono stati negati i legittimi confronti. ‘Peccato per la tempistica’, viene da dire, perché, in particolare per quanto riguarda i piloti, l’apertura di Pirelli segue le dichiarazioni allarmate e allarmanti rilasciate dagli stessi piloti nei giorni del dopo GP. Dall’altro, essa sembrerebbe sottintendere (anche se Hembery nega ogni volontà di polemica) l’esistenza di un ‘colpevole alternativo’ che, sapientemente, ha saputo nascondersi dai riflettori di questa crisi che ha colpito solo Pirelli, mentre dovrebbe riguardare l’intero circo della F1, tra cui la Fia. “Massima istituzione del motorsport’ la cui ‘prima missione è di tutelare e promuovere la sicurezza sulle strade’ secondo Marco Mensurati (dalle colonne di Repubblica il 01 luglio), ma che, come ricorda Arianna Ravelli, sulle pagine del Corriere della Sera di martedì 01 luglio, si è sempre opposta ai test e “ci sono voluti una figuraccia mondiale e il rischio della vita dei piloti” per cambiare rotta.
Quello che la ‘vicenda Pirelli’ insegna è che, per gestire in maniera ottimale la reputazione di un brand non ci si può solo concentrare su azioni ‘building’ ma è di fondamentale importanza individuare tutti i possibili gli scenari di crisi connessi al business per elaborare in anticipo strategie di crisis prevention. Ovvero, nel caso specifico di Pirelli, valutare a monte quanti e quali rischi implicasse l’accettare il contratto per la fornitura della Formula 1, che – con il regolamento attualmente in uso – non prevede la possibilità di un adeguato sviluppo delle tecnologie durante la stagione sportiva, e l’ha costretta perciò a “sperimentare in campo”, con le conseguenze ben note, esponendosi così a una figura poco qualificante per la propria reputazione (in termini corporate e di prodotto). Una vetrina, quella della F1, che Pirelli ha cercato per confermare il proprio ruolo di leader del mercato, puntando ad un settore premium, e che a Silverstone si è rivelata però un boomerang pericoloso.

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