Varie_Pistorius_evidenza

Da Armstrong a Pistorius un’escalation di bad practice.

Solo pochi mesi fa il Time aveva incoronato Oscar Pistorius tra i 100 uomini più influenti al mondo. Ma dopo i tragici avvenimenti delle ultime ore, tutti gli sponsor del campione stanno rescindendo i contratti, in attesa di capire gli esiti delle indagini sulla morte della fidanzata. Troppo dannoso, infatti, legare la propria immagine e reputazione ad un atleta indagato per omicidio. Dalla Nike, ai profumi by Therry Mugler, passando per la British Telecom, sono tanti i brand che, dalle ultime indiscrezioni, sembrerebbero voler abbandonare il campione. Una triste vicenda che fa riflettere sul legame tra il marketing e lo sport e che riporta velocemente la mente ad altri campioni che, per eventi ben meno gravi, sono stati scaricati da grandi aziende perché inadatti a rappresentarne i valori del marchio che li sosteneva. Un esempio su tutti è Lance Armstrong, allontanato dagli sponsor, dopo le accuse di doping. Difficile da redimere anche dopo la tanto discussa confessione con la regina dei salotti americana Oprah Winfrey.

Ma vediamo la vicenda nel dettaglio.
Cinque “yes” consecutivi per aprire la più grande confessione spettacolo della storia dello sport americano e per confermare quello che le prove raccolte già avevano annunciato al mondo: Armstrong è uno dei più grandi bari della storia dello sport. Lo show andato in onda da Oprah Winfrey, la regina dei talk show americani, ha certamente  conquistato l’attenzione dell’opinione pubblica americana, con 3,2 milioni di persone sintonizzate, avvicinando il record storico segnato dall’intervista con i familiari di Witney Houston. Tuttavia non si può certo dire che Armstrong abbia sfruttato al meglio l’occasione per iniziare quella che indubbiamente sarà la più difficile scalata della sua carriera: il recupero della sua reputazione cancellata dall’incredibile scandalo emerso. Ammissioni parziali, molte reticenze e un pentimento che è sembrato a molti commentatori molto di facciata: troppo poco per riconquistare veramente la fiducia del pubblico. Difficile riuscire a inquadrare esattamente il danno di immagine che ha subito il ciclismo con la condanna di Armstrong. Il corridore Texano infatti non è stato solamente un grande campione delle due ruote ma la sua vicenda umana ha sconfinato il solo ambito del ciclismo. È divenuto infatti un simbolo per essere tornato in sella dopo uno stop di un anno e mezzo per un cancro ai testicoli prima di iniziare la sua incredibile successione di vittorie al Tour, la corsa più dura al mondo: un dominio totale e senza repliche dal 1998 al 2005, anno del ritiro. E con i successi in bici è cresciuta contemporaneamente la fama della Fondazione per la prevenzione e cura del cancro, da lui fondata, la Livestrong, simboleggiata dal celebre braccialetto di gomma giallo in vendita per beneficienza con il richiamo alla maglia del leader in classifica del Tour.

Un ciclista in grado anche di sfidare il tempo con il clamoroso ritorno al tour dopo tre anni di inattività, per battagliare a 38 anni passati finendo sul podio ai Campi Elisi. Un personaggio simbolo, il ciclista amico delle star e dei presidenti americani, che ha costruito tutta la sua carriera su una pianificazione scientifica di ogni attività, e che non poteva non costruire dalla Winfrey uno spettacolo concordato meticolosamente. Tanto che il direttore del tour de france Prudhomme lo ha definito solamente “un millimetrico esercizio di pubbliche relazioni”. Chiarissima la strategia di comunicazione di Armstrong:  assumersi una responsabilità iniziale, quella di aver mentito sul doping, cercando di ridurre tutti i suoi inganni a questa sua umana debolezza, l’incapacità di dire il vero. Una colpa che viene chiaramente sminuita nelle dichiarazioni dell’ex ciclista che ridimensiona il doping a elemento accettato dal gruppo e praticato da tutti. Come si riempie la borraccia o si gonfiano i tubolari, così bisogna doparsi, per Armstrong. Non è mica un imbroglio, serve solo a correre alla pari di tutti gli altri. Armstrong si ritiene il più forte dei dopati, quasi un merito. Sottolinea Andrea Monti nell’editoriale della Gazzetta dello sport: “il Texano mostra un vuoto totale di etica e di coscienza”. Non il massimo del posizionamento per ripulire la sua immagine. Questo è stato indubbiamente il primo grande passo falso di Armstrong dalla Winfrey. Se si vuole uscire dal peggiore scandalo di sempre legato al doping (la sequenza dei furbetti dello sport è imbarazzante, ma nessuno è stato così a lungo baro come il texano) il primo atto richiesto è la presa di coscienza di quanto commesso. È il requisito minimo per cercare di pulire la propria reputazione: ma Armstrong sembra proprio non avere compreso la gravità dei suoi comportamenti e il male arrecato a moltissime persone, e non ultimo, a tutto il ciclismo.

Il secondo passo, per chi si definisce ormai un bugiardo incallito, è iniziare a dire la verità, per intero, senza omissioni e senza reticenze, confessando tutti gli aspetti del proprio passato. Non esattamente quello che ha fatto Lance, che ha disseminato la sua intervite di molte ricostruzioni piuttosto fantasiose e di vere e proprie bugie, purtroppo confermando che non è riuscito ancora a smettere i panni del bugiardo. Paolo Tomaselli sul Corriere della Sera del 19 gennaio nel suo articolo “i punti oscuri di una corsa a tappe senza traguardo” sottolinea almeno tre incongruenze nella confessione televisiva del texano. La prima riguarda il suo ruolo come leader all’interno del suo tema USPostal che impone il doping a tutti i compagni di squadra. Armstrong rifiuta con forza l’accusa di aver spinto i suoi compagni a doparsi ma le evidenze sono di tutt’altro tenore: Vande Velde lo accusa di averlo costretto a seguire le cure del Dottor Ferrari, inibito a vita proprio per i casi di doping, pena l’esclusione dalla squadra. E non è un caso che nessuno de membri della US Posta che ha rifiutato il doping abbia mai partecipato al Tour. La seconda contraddizione è l’affermazione del corridore di non aver mai fallito un controllo antidoping e di non aver ricevuto alcun aiuto da parte del governo del ciclismo. Peccato che proprio all’epoca del primo trionfale Tour l’atleta sia stato trovato positivo a steroidi e si sia giustificato con la produzione di un certificato medico che l’UCI accettò senza fiatare. Senza dimenticare il presunto caso di doping al giro di svizzera del 2001 messo a tacere con una donazione all’UCI di 125.000 euro per fare passare sotto silenzio la positività all’EPO. Armstrong parla di donazione disinteressata posteriore al 2005, ma la stessa UCI ha dichiarato che la donazione a favore della lotta all’antidoping fu fatta e in due tranche, la prima del 2002. E c’è anche la testimonianza della responsabile del laboratorio dell’analisi dell’epoca a inchiodare il ciclista. Nella confessione reality di Armstrong nel salotto tv più famoso d’America non poteva certamente mancare una conclusione positiva della sua vicenda umana, l’happy end per risollevare la sua immagine di corridore redento. Ma come ricorda Gianni Mura su Repubblica, “bisogna stare sempre attenti alla favole, nel ciclismo: Cappuccetto Rosso ha le siringhe nel cestino, la nonna spaccia e il Lupo è già cattivo di suo”.  Armstrong dichiara di essere tornato pulito nel 2009 e di avere promesso alla moglie Kristen di correre senza il ricorso ad aiuti illeciti, conquistando così il podio ai campi Elisi.
Una dichiarazione sicuramente ben studiata e progettata per conquistare un po’ di fiducia del pubblico, ma probabilmente falsa e artificiosa. Infatti, inquirenti al lavoro sul suo dossier, hanno riferito alla AbcNews che nel 2009 le sue analisi del sangue “erano alterate” da due trasfusioni. A parte la bella favola della redenzione finale, Armstrong ora è costretto a mentire.

Se per i 7 Tour i suoi reati sono infatti caduti in prescrizione, i fatti del 2009 gli potrebbero valere un’incriminazione per doping negli Stati Uniti. Già la reputazione di Armstrong presso i consumatori americani era crollata al minimo alla notizia della sua radiazione, come ricorda il UsaToday che riporta Armstrong precipitato dal 69 al 2625° posto nell’indice di affidabilità di 2900 celebrities. Ma l’intervista ha, se possibile, solamente peggiorato la situazione. I sondaggi effettuati da SurveyUSA dimostrano che il piano di Armstrong di salvare la propria reputazione con la concordatissima intervista dalla Winfrey è decisamente fallito. Il 63% delle persone intervistate crede che ormai sarà impossibile recuperare la sua reputazione, e solo il 21% gli concede qualche chance. Solo il 17% crede che Armstrong nell’intervista sia stato veramente sincero e soprattutto c’è grande scetticismo sulla sua affermazione di non aver fatto ricorso al doping nel 2009 e nel 2010. Dati inquietanti, se si pensa che nel mese di ottobre (quello della condanna dell’Usada e UCI) la popolarità di Armstrong era risalita al 37%. E i prossimi mesi non gioveranno certamente alla reputazione di Armstrong perché il texano dovrà affrontare una serie di cause intentate da chi in passato è stato condannato per diffamazione per averlo accusato di doping. Perché Armstrong era così convinto di farla franca da perseguitare in tribunale chi lo accusava di doping per ottenere come risarcimento dalla diffamazione centinaia di migliaia di dollari. Come il Sunday Times, che condannato a pagare a 480.000$ nel 2006 ora ne chiede 1,5 milioni. Oppure la compagnia assicuratrice Sca, uno dei suoi sponsor, che ha dovuto riconoscere al texano 7,5 milioni per essersi rifiutata di riconoscere al suo testimonial 5,5 per i sospetti di doping: ora ha presentato un conto di 12 milioni secchi. Senza dimenticare i lettori ingannati dalle sue autobiografie di successo che ora stanno intentando una class action.

L’arroganza di Armstrong d’altro canto ha raggiunto delle punte veramente impensabili ergendosi perfino a testimonial di una campagna choc contro il doping per la Nike, il cui video su YouTube sta correndo verso le 2,5 milioni di visualizzazioni a seguito dell’intervista confessione televisiva.

Nike che ha disdetto la sua sponsorizzazione il giorno prima della radiazione ufficiale di Armstrong. Scelta che è stata seguita da tutte le aziende legate al texano che in un solo giorno ha visto sfumati a sua detta 75 milioni di dollari. Un atteggiamento abbastanza ipocrita da parte delle aziende che ricercano da parte dei testimonial sportivi la vittoria per la propria visibilità, come ricorda nella sua indagine su il Sole 24Ore Claudio Gatti. Armstrong può fare qualcosa per riabilitare la sua reputazione agli occhi almeno della pubblica opinione?

Forse si, una cosa abbastanza semplice alla fine. Gettare la maschera indossata fin ora e collaborare veramente con gli investigatori, spiegando esattamente che tipo di aiuto ha avuto per riuscire a mettere in atto “il più grande sistema di doping al mondo”, secondo la definizione del direttore dell’agenzia antidoping statunitense Travis Tygart. C’è da spiegare come funzionasse un sistema in grado di assicurare con certezza le vittorie in ogni partecipazione e permettesse al contempo di superare almeno 500 controlli senza alcun timore di  fallire un test. La posta ora in gioco è altissima: la credibilità di un intero sport a livello mondiale, non più la sola reputazione di Armstrong. Perché i sospetti di una massiccia copertura per tutta la sua carriera da parte del governo del Ciclismo sono assolutamente ragionevoli. Soprattutto  alla luce dell’indagine del Wall Street Journal, che ha messo in evidenza come il proprietario della squadra di Armstrong, Thomas Weisel, leggenda della Silicon Valley e uno dei banchieri più potenti d’America, ha avuto anche in gestione gli asset personali di Hein Verbruggen, il gran capo dell’UCI. Un intreccio di connivenze così pericolose da potere portare addirittura il ciclismo all’esclusione dai giochi Olimpici, come prospettato da Dick Pound,  membrio del CIO. Armstrong ora ha un’unica possibilità: svelare tutte le sue coperture, confessare ogni abuso per fare risultare tutti gli errori di almeno una decina di anni in cui non si è visto ciclismo, ma una sua falsa spettacolarizzazione. Solo così sarà possibile fare veramente piazza pulita di ogni colpa ed eliminare tutti i responsabili di un decennio almeno di doping diffuso e generalizzato, dando una nuova speranza a uno sport che rischia di perdere molti appassionati stanchi dei continui inganni. Solamente in questo modo Armstrong potrà compiere una grande impresa per la bicicletta: divenire da Nemesi del Ciclismo, a suo paradossale redentore. Una confessione completa davanti agli organi di giustizia, ben diversi dai salotti televisivi,  una resa senza condizioni. In questo modo potrà costruire la propria immagine presso il pubblico, come colui che si è riabilitato con una dura battaglia contro il proprio passato e contro i proprio complici. Per il bene di tutto il movimento ciclistico mondiale. Certamente il texano non ha davanti mesi facili, ma la strada per risalire la china della propria reputazione in questo momento è più ripida del Mortirolo e non può contare su nessun doping a sua disposizione, se non dire tutta la verità.

Tornando al caso Pistorius, in attesa dell’esito dei processi, monitoreremo l’eco mediatico della vicenda e vi terremo aggiornati sulla crisis che ha colpito la carriera e sopratutto la reputazione del grande atleta.

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