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… non dipende dal numero dei followers. Ma questa non è una cosa scontata, non per tutti almeno. Lo sanno bene gli esperti digital che mettono in piedi campagne di informazioni colossali tramite i social media e sanno perfettamente quanto può essere pericolosa un’offesa, una provocazione, una scivolata insomma. Quella scivolata che può essere ripresa anche da un solo utente, ma che sarà in grado di creare un tam tam travolgente, spesso incontenibile. Questo è quello che è accaduto all’ onorevole Maurizio Gasparri in seguito ad una accesa discussione su Twitter con uno sconosciutissimo Daniele Termite. L’errore, imperdonabile, è stato quello di ritenere lo sconosciuto un utente irrilevante ‘Seguito da 48, imbarazzante …’  twitta Gasparri facendo riferimento al numero di followers dello sconosciuto. L’effetto? Devastante. Grazie a quello scambio di tweet Daniele Termite ha guadagnato 2.580 followers in una manciata di giorni ed ha conquistato spazio sui quotidiani, raggiungendo almeno 1 milione di persone!

 Senza entrare nel merito della contesa (si trattava di capire o meno di calcio)  e senza dare alcun giudizio circa l’opportunità di valutare i contenuti espressi da una persona in base alla potenza del megafono che sta utilizzando, mi preme sottolineare la mancanza di informazioni che vengono raccolte sui nuovi mezzi di comunicazione di massa e, di conseguenza, anche la pericolosità degli stessi. Nell’era digitale vince tutto ciò che nella vecchia scuola dell’informazione non era contemplato: la relazione individuale, le regole di ingaggio e la trasparenza. Il rapporto uno a uno, ottenuto con un reply preceduto da una @ non equivale ad uno scambio di battute al bar davanti ad un caffè. Può diventare l’equivalente di un servizio televisivo in orario di punta, con la differenza che rimane tracciato per sempre, rimane nel cassetto degli utenti e può essere retwittato, condiviso, taggato, commentato. E’ questa la vera potenza dei nuovi strumenti digitali: questo potere smisurato che ogni singolo utente ha e che può condividere con una singola persona, con un gruppo intero, con un capo di stato o con un cantante famoso.

In quest’avventura,  leggo anche un aspetto caratteriale che probabilmente ha spinto il politico ad una reazione di questo tipo, e ne traggo conferma dal fatto che non era nemmeno la prima volta che gli accadeva di dichiarare l’interlocutore degno del confronto o meno in base alle dimensioni della community costruita attorno a lui. E anche questo è un insegnamento e ci ricorda, con grande evidenza, quanto i ‘social’ siano borderline tra il pubblico e il privato e se questa dimensione è particolarmente congeniale al privato, non sempre lo è al personaggio pubblico. Eppure, a ben pensare, la politica, nell’etimologia stessa della parola, racchiude un significato ‘sociale’ per eccellenza, che ben si dovrebbe combinare con l’approccio democratico del mondo dei social media. Barack insegna.

 

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