Fumare dall’età di 14 anni di certo non è un toccasana. Eppure le compagnie e le lobby del tabacco ci hanno provato a più ondate ad affermare che il tabacco in fin dei conti non è più nocivo di altre sostanze, falsità ben smentita dalla scienza e da parecchi anni ribadita on pack. Ricorda un po’ il copione visto nel film “Thank You For Smoking”, in cui la strema difesa della strategia di marketing mette a tacere a suon di dollari quanti si opponessero a tale assunto cioè che “alla fine, si muore di tante altre cose”.

Eric Lawson , noto ai più nel ruolo di Marlboro Man, uomo a cavallo con la briglia in mano, il piglio da cowboy e la sigaretta in bocca, si è spento il 10 Gennaio all’età di 72 anni per una broncopneumopatia legata al fumo. Fumatore accanito sin dalla tenerissima età, ha rappresentato per decenni l’emblema dell’uomo ruvido americano, che fa della voce roca e della pelle inspessita il suo marchio di fabbrica. Caratteristiche su cui Marlboro ha sempre puntato anche per la sua linea di abbigliamento, che si propone all’uomo metà cowboy, metà taglialegna, con incursioni da motociclista. Un uomo che se fuma aggiunge carisma alla sua figura. Nonostante sia accertato che il fumo di sigaretta abbia degli indiscussi effetti negativi sulla salute c’è ancora chi supporta la causa pro-tabacco e chi finanzia studi per provare questa tesi sostenuta tra le altre da case farmaceutiche e organizzazioni per la salute. Senza scendere nella dietrologia superflua, è interessante notare, dal punto di vista della comunicazione, come mai la notizia della morte di Lawson sia rimbalzata ai quattro angoli del globo dopo così tanti giorni rispetto al giorno della morte del testimonial.

Dal punto di vista della brand reputation l’associazione Marlboro/Tumore di un suo celeberrimo testimonial certo non aiuta anche dopo qualche settimana, ma pensiamo a quante e quali trattazioni mediatiche si sarebbero potute sviluppare durante la malattia oppure a ridosso dei funerali di una persona che durante la vita ha identificato la sua immagine con un prodotto o una malsana abitudine che ne ha causato la morte.

Non ci  sono molti casi simili, certamente un testimonial che con la sua morte ha provocato una ripercussione negativa sul brand che rappresentava è quel Patrick de Gayardon che per Sector è stato molto più di un semplice testimonial di prodotto, una vera e propria icona di un way of life capace di superare nel caso di alcune performance la visibilità del marchio. Un caso altrettanto eclatante è stata la morte del probabilmente meno noto ai più, Jimi Heselden proprietario di Segway che deceduto durante un product test del famoso monopattino elettrico a due ruote, ne ha, volente o nolente, invalidato la reputazione di mezzo di trasporto sicuro.   

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