La nuova campagna pubblicitaria della Regione Toscana è orrenda.

Parafrasare Dante e la Divina Commedia è un’idea frusta e banale.

Esaurito in due righe il compito di esprimere un giudizio qualitativo – e quindi anche soggettivo – su una comunicazione che personalmente giudico più che infelice (ma la campagna è stata criticata anche da Enrico Rossi, Presidente della Giunta Regionale), vorrei spostare l’attenzione su ciò che questo episodio ci racconta, al di là di Photoshop e delle immagini falsificate.

Il racconto che ne viene fuori ha come tema la superficialità trogloditica con cui la politica tratta la pubblicità e la comunicazione in genere. La campagna della Regione Toscana, in cui sembra a volte di essere in Norvegia o ad Acapulco, nasconde dietro di sé un modello culturale che sembra ben radicato nella mente dei nostri politici (e non solo): il fatto che raccontare semplicemente (e magari bene) la realtà sia inaccettabile e che questa vada sempre presentata sotto qualche artificio retorico, come quello dell’iperbole, di cui noi Italiani siamo maestri insuperati. Questo perché noi “consumatori” di prodotti e di messaggi siamo visti come dei bambini cui non si può parlare normalmente, ma che vanno un po’ blanditi, un po’ ingannati. Ritorniamo di conseguenza sempre lì, alla pubblicità come opera dei “Persuasori occulti” (Vance Packard, 1957): un’arma potentissima capace di vendere qualsiasi cosa, purché non dica mai la verità.

Se la campagna della Regione Toscana ha quindi più cerone e capelli finti di un anziano ottantenne è perché il suo obiettivo è quello di creare un’iperbole, “spararla grossa”; superare il brusio alzando la voce e puntare sull’immagine a scapito del contenuto.

Si potrebbe obiettare che la pubblicità contiene già, per sua natura, elementi di finzione e a questo proposito si potrebbero portare molti altri esempi oltre la campagna citata. Sicuramente sì, ma guardiamo anche ad alcuni episodi di punta che vanno, per fortuna, in senso diametralmente opposto.

Da circa sette anni Unilever utilizza per il brand Dove la sua piattaforma di comunicazione “Real Beauty”, dove viene celebrata una bellezza femminile naturale, presente in ciascuna donna, al di là di ogni età e di tutte le rughe, che infatti sono mostrate senza paura. Una multinazionale, anche grazie ai milioni di euro spesi in ricerche di mercato, ha saputo cogliere meglio di altri lo “spirito del tempo”: una voglia di concretezza, di semplicità e di verità; un elemento che oggi emerge con sempre maggior forza anche come “domanda politica”, ma a cui la politica, tutta presa a inseguire l’”immagine”, non sa dare risposta, nonostante tutti i suoi post e tutti i suoi tweet.

Altro segnale. In un articolo del New York Times apparso su Repubblica martedì 11 febbraio leggiamo che Sheryl Sandberg, Chief Operating Officer di  Facebook, attraverso l’organizzazione no profit “Lean In” da lei promossa e in collaborazione con Getty Images, sta creando un archivio di immagini tutte al femminile, in cui la donna viene mostrata nelle sue diverse realtà contemporanee, al di là di ogni stereotipo che la vuole volta per volta mamma felice, manager agguerrita o sex symbol – al di là, quindi, di ogni iperbole.

Piccoli segnali, certo, ma significativi in quanto arrivano da eccellenze del mercato e della comunicazione. Significativi in quanto tratteggiano, almeno in parte, i confini di un altro tipo di comunicazione possibile: più rispettosa, più vera, più intelligente; identificando un modello culturale contrapposto a quello imperante. Segnali che però sui radar di Firenze non sono proprio pervenuti, considerando anche che la campagna in oggetto sembra essere stata selezionata tra ben cinquanta idee presentate. E allora, modifichiamo Dante anche noi: “Ahi Fiorenza, vituperio delle genti”.

P.S. 14/02/2104 Apprendiamo oggi che date le critiche la campagna di promozione turistica “Divina Toscana” è stata sospesa e non verrà presentata alla Borsa Internazionale del Turismo (BIT) in corso a Milano.

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  1. Soldi pubblici e demenza privata. Tristissimo connubio. Sembra che in questo periodo gli amministratori pubblici si stiano dando da fare per dimostrare la propria assoluta incompetenza in tutto (per restare alla comunicazione, bastipensare ai vari marchi per il turismo recentemente approvati in giro per il paese). Come se ne esce? Costituendo un comitato di professionisti veri che, a livello centrale, mettano a punto una serie di regole che tutti devono osservare? Delegando tutte le campagne pubbliche al coordinamento di Pubblicità Progresso che da anni – bene o male – lavora sui temi di una comuncazione che vuole parlare alle persone e non agli assessori incompetenti? Sarebbe interessante aprire un dibattito serio sulla questione. Coinvolgendo coloro che – da tempo ormai – cercano di dare vita a una comunicazione responsabile.

  2. Come se ne esce? Giusta domanda, il dibattito è già aperto: il festival artcolotre: comunicare la parità nasce per dare risalto alla comunicazione responsabile e premiare la pubblicità corretta e priva di discrimninazioni: PERCHE’ NON TI UNISCI A NOI? Dai uno sgurado al sito http://www.articolotre.eu e dimmi cosa ne pansi.
    Spero a presto, elena rosa

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