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Che dire, funziona? C’è un ebreo in vetrina a Berlino

La provocazione come strumento per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica su tematiche di rilevanza -ma lontane dalla quotidianità- è stato il cavallo di battaglia di quasi tutte le avanguardie artistiche del 900. Il potere comunicativo dell’infrangere un tabù, infatti, permette di comunicare a livello empatico e quindi più diretto. I Curatori d’arte e i Direttori dei musei lo sanno bene. Un nuovo caso di come la provocazione possa essere utilizzata con l’obiettivo di sensibilizzazione ci viene  dal Museo Ebraico di Berlino che, per parlare di temi importanti come la Shoah e le persecuzioni razziali contro gli ebrei, alcuni giorni fa, ha invitato la comunità ebraica di Berlino a partecipare attivamente ad una mostra sull’olocausto.

Gli ebrei berlinesi che hanno aderito all’iniziativa si  sono seduti in una teca per rispondere  alle domande poste dai visitatori sulla loro storia, e su come vivono e si sentono in Germania. Come evidentemente si aspettavano gli organizzatori, l’operazione, ribattezzata dalla stampa  “L’ebreo in vetrina” (in Italia ne ha parlato anche Repubblica), ha sollevato un polverone anche all’interno della stessa comunità ebraica. Ma l’autogol è solo apparente, perché, come chiarisce  la curatrice della mostra, Miriam Goldman, la provocazione permette di “superare le barriere emotive”.  Il risultato è che dell’iniziativa –e quindi del tema della mostra- si è parlato in tutta Germania e non solo e che personalità di spicco -come Leeor Engländer, opinionista del quotidiano Die Welt- hanno sposato la causa, agendo di fatto come amplificatori della notizia. Anche grazie alle contestazioni suscitate,  il Management del Museo è riuscito a costruire un’interessante attività di storytelling intorno alle attività del proprio Istituto, confermando la linea originale che ne contraddistingue la comunicazione. Infatti, il Museo Ebraico di Berlino da sempre cerca di parlare ad un pubblico eterogeneo, alternando contenuti più istituzionali a materiali più accattivanti, come le biografie illustrate dei vip (da David Beckham a Justin Bieber) di cui pochi conoscono l’origine ebraica.

Un’iniziativa culturale indubbiamente interessante che potrebbe dare indicazioni a chi, in ambito comunicazione culturale, lavora anche in Italia, in modo da dare un po’di ossigeno ad un settore che, come racconta  l’ultimo rapporto Eurostat, non gode certo di ottima salute … almeno per quanto riguarda la capacità attrattiva di investimenti …

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