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Mark Maker e il downgrade del whisky

Mark Maker è la distilleria bourbon che utilizza solo acqua pura, esente da ferro e calcare. Il brand è nato negli USA ed è particolarmente amato dai consumatori per l’alta qualità e, di conseguenza, per la purezza dei prodotti offerti. Fino a pochi giorni fa il Management non aveva mai messo in discussione il processo di produzione del whisky, proprio perché l’attenta selezione dei cereali alla base del bourbon e la tradizione hanno sempre rappresentato una caratterizzazione talmente forte da divenire il principale asset differenziante sui cui Mark Maker ha costruito il proprio posizionamento, il proprio storytelling e la propria brand reputation nel corso degli anni. Ma le richieste sempre più pressanti dei consumatori provenienti da mercati emergenti come l’Asia, hanno costretto la distilleria a ridurre la quantità di alcol all’interno di ogni singola bottiglia, portandola dal 45% al 42%.

La necessità di soddisfare la crescente domanda del mercato, a discapito della tutela della qualità e della purezza del prodotto, non è stata però nascosta ai clienti dell’azienda, bensì comunicata al proprio target, cercando di coinvolgerlo nella scelta con una strategia improntata alla chiarezza e alla trasparenza. Il Management di Mark Maker, infatti, la scorsa settimana ha annunciato che lo storico whisky sarebbe stato letteralmente annacquato, per soddisfare la domanda crescente dei mercati stranieri.
Il sentiment seguito all’annuncio è stato chiaramente pura indignazione. Il CEO di Mark Maker ha raccontato che, dopo poche ore, l’azienda è stata letteralmente subissata da e-mail, telefonate e post sui social network. Il commento era unanime: “se ridurrete la quantità di alcol in ogni bottiglia passerò alla concorrenza”. Anche la stampa e l’opinione pubblica hanno fortemente contestato la decisione dell’azienda, definendolo un vero e proprio “brand suicide”. Ma lo scorso lunedì la situazione si è risolta. Mark Maker, ha infatti rilasciato uno statement ufficiale nel quale si scusava con tutti i clienti, assicurando che la qualità e la purezza del bourbon non sarebbero state messe in discussione: “You spoke. We listened. And we’re sincerely sorry we let you down [..] “While we thought we were doing what’s right, this is your brand — and you told us in large numbers to change our decision”.
Analizzando la vicenda da un punto di vista PR, non c’è il dubbio che le dinamiche dell’episodio possano essere sospette? Un brand con una riconoscibilità imperniata sulla qualità di prodotto, che comunica al proprio target consolidato di mettere in discussione i propri elementi distintivi a fronte delle esigenze di un nuovo mercato … un buon marketer avrebbe sviluppato una linea ad hoc. Perché, invece, non leggere questo episodio come un’operazione PR per fidelizzare ulteriormente il proprio target, utilizzando la strategia dell’ascolto e della comprensione? Operazione in ogni caso rischiosa, perché se si scoprisse che è frutto di una strategia studiata a tavolino, ad essere messa in discussione sarebbe la reputazione stessa dell’azienda.

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