Michelle Obama

Twitter come indiscutibile fonte di notizie. Il cinguettio più famoso del web ha avuto un ruolo chiave nella recente vicenda delle 300 ragazze rapite in Nigeria dagli integralisti islamici ed infatti il caso, meglio noto con #BringBackOurGirls, è diventato in poco tempo protagonista del web e da lì è balzato agli onori della cronaca. Un semplice hashtag è riuscito a catturare l’attenzione del mondo intero sul drammatico rapimento firmato Boko Haram. Partito in sordina, grazie ad un avvocato nigeriano che ha creato l’hashtag “ridateci le nostre ragazze”, è stato rilanciato oltre un milione di volte, arrivando alle alte sfere, fino alla first lady Michelle Obama che si è unita al grido di molte altre personalità internazionali come Hillary Clinton e sua figlia Chelsea, Naomi Campbell, Angelina Jolie, Sean Penn e molti altri divi di Hollywood.

La cosa che fa più riflettere è che fino a quel momento la notizia, seppur drammatica, pare aver avuto poco rilievo sulla stampa internazionale che ha iniziato a seguire la vicenda sulla scia dell’enorme polverone suscitato dal social network dove l’hashtag ha registrato numeri incredibili arrivando in pochi giorni ad essere tra i dieci più twittati. E dal cyberspazio #BringBackOurGirls è poi arrivato sulle magliette e sui cartelli di migliaia di manifestanti che sono scesi in strada ad Abuja, ma anche a Londra, Dublino, Los Angeles e Washington.

Il confine tra virtuale e reale sta scomparendo sempre di più e quello delle ragazze nigeriane non è un caso isolato, altre sono state le occasioni in cui i social network si sono mossi per sostenere cause umanitarie. Un esempio che senza dubbio in molti ricordano è la campagna contro Joseph Kony, “Stop Kony”, che aveva l’obiettivo di far catturare il criminale di guerra ugandese Joseph Kony nel 2012. Invisible Children, Inc. il video nato per combattere il capo del gruppo terroristico LRA (Lord’s Resistance Army), è stato rilanciato sui diversi social network e ha ottenuto 40 milioni di visualizzazioni nei primi 4 giorni in cui era attivo e ad oggi ne conta più di 99 milioni. Su twitter #Kony2012 e #stopkony hanno raggiunto più di 9 milioni di cinguettii nel primo mese da quando è stato rilasciato il video. Un’eccellente strategia viral che però, nonostante le circa 100 milioni visualizzazioni in poco più di mese, non è stata esente da critiche considerando che nonostante l’impressionante coinvolgimento della rete, Kony è tutt’ora libero. E per le ragazze nigeriane il finale resta un’incognita.

Detto questo, il peso dei social anche in campagne umanitarie credo sia comunque fuori discussione, quanto meno per il loro potere di sensibilizzare e diffondere la conoscenza verso eventi ed avvenimenti che altrimenti rischierebbero di passare sotto silenzio. Riuscire ad arrivare, coinvolgere e far discutere milioni di persone nel mondo è comunque un successo. #Bringbackourgirls ha ottenuto più 3 milioni di tweet, #Kony2012 e #stopkony hanno ricevuto più di 9 milioni di tweet, con #Kony2012 come trending topic su twitter. Su Facebook la pagina ufficiale di Kony conta una community di oltre 82 mila persone mentre la pagina di Bring Back our Girls ne conta oltre 188 mila. E a prescindere dal risultato finale questi numeri sono significativi. Sono una dimostrazione del potere della rete e del fare rete. Perché è innegabile che, al di là di tutte le critiche che spesso si sprecano, l’attivismo social, in gergo slacktivism, non scrive l’epilogo della storia, non ne decide le sorti, ma senz’altro ha il merito di essere fondamentale come “tool” di sensibilizzazione e soprattutto come canale di informazione. Del resto la rete non è entrata nella stanza dei bottoni, ma sicuramente ha stravolto il modo di comunicare, aprendosi alle masse, favorendo la conoscenza, arrivando a influenzare scelte ed opinioni. E non è poco.

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