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Children’s Food Campaign è un’associazione indipendente non governativa attiva nella lotta contro le malattie cardiache. Uno degli obiettivi principali dell’organizzazione è la tutela dell’alimentazione e del sano sviluppo dei bambini.
Nei supermercati, in prossimità dei percorsi con più passaggi e vicino alle casse, vengono esposti i cosiddetti acquisti d’impulso: merendine e dolci ricchi di grassi e di zuccheri che invogliano i bambini in attesa.
In Inghilterra Children’s Food Campaign ha messo in campo un vero e proprio piano di PR per denunciare questa strategia di marketing e sollecitare il Governo Britannico e l’Advertising Standards Authority ad intervenire per prevenire o almeno attenuare questa pratica.

Tutto ha avuto inizio da una ricerca. Lo scorso 24 aprile l’associazione ha pubblicato sul proprio sito web un’indagine dal titolo “Checkouts Checked Out”, condotta analizzando gli allestimenti in prossimità della casse di 48 supermarket londinesi. L’osservatorio ha evidenziato l’assenza, nella quasi totalità dei casi, di cibi salutari nei percorsi con più passaggi stilando peraltro una classifica delle worst practices indagate.
Dopo la pubblicazione dell’indagine, Children’s Food Campaign ha invitato ciascun retailer, citato nella ricerca, a rendere pubblica la propria strategia di marketing e di promozione. Il piano di comunicazione ha visto anche il coinvolgimento delle piattaforme social. Sulla propria pagina Facebook e Twitter, Children’s Food Campaign ha creato un “wall of shame”, invitando i consumatori a fotografare le scaffalature, dei punti vendita frequentati abitualmente, più inclini ad accogliere dolciumi e bibite e ad inviare gli scatti incriminati all’associazione.
La campagna è rimbalzata immediatamente sui media britannici ed è stata ripresa dalla BBC, dal Daily Mail, dall’Huffington Post e dall’Indipendent, oltre a numerose testate locali.

In tempi di social la Children’s Food Campaign batte le Associazioni del Retail 1 a 0. Il mondo del retail si è probabilmente dimenticato le regole basilari della nuova stagione della comunicazione 2.0: risposte che arrivano puntuali, argomenti rigorosi  e convincenti, e azioni trasparenti. E, forse, la crociata contro l’acquisto d’impulso e i più basilari principi del marketing non si sarebbe persa così velocemente.
La questione che la Children’s Food Campaign apre, infatti, non può prescindere da un problema di educazione all’alimentazione che deve coinvolgere molti attori e, probabilmente, solo secondariamente il mondo del retail e dei produttori. Questi bimbi piagnucolanti davanti alle casse perché vorrebbero appropriarsi di un sacchettino di caramelle non saranno mica gli stessi che a casa non si staccano più dalla playstation, a scuola non mangiano frutta e verdura nemmeno se minacciati, in vacanza si annoiano se non c’è un intero pool di animatori che ogni due ore propone loro un gioco diverso, e a merenda mangiano patatine o briochine confezionate? Il problema quindi è delle aziende che propongono alimenti a rischio di obesità e disturbi cardiaci, vicino alle casse o dei genitori che non sono capaci di dire no?

E se il mondo del retail avesse risposto a questa denuncia con informazioni puntuali sui prodotti e una campagna di sensibilizzazione alla corretta alimentazione dei bambini in partnership con il mondo scolastico, il mondo sportivo e il mondo industriale? Leaflet divertenti e colorati da distribuire vicino alle casse? E se distributori e produttori avessero immediatamente approfittato del  ‘wall of shame’ per raccontare il valore nutrizionale dei propri prodotti e gli aspetti salutistici salvaguardati. E se, sullo stesso muro, Haribo, Kinder Ferrero, Leclerc e altre marche e colossi del retail avessero scritto a grandi lettere quello che sostiene l’Organizzazione Mondiale della Sanità, cioè che il vero problema dell’obesità e delle malattie di crescita è che si mangia male e ci si muove troppo poco …

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