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Diciamolo una volta per tutte, sporgere denuncia contro uno strumento di comunicazione perché qualcuno lo utilizza per denigrarti, non è saggio. Non solo è molto difficile ottenere il risultato sperato dal punto di vista giuridico, ma rischia di rivelarsi un vero amplificatore di polemiche e critiche. Cose un po’ scontate insomma, ma che qualcuno ancora fa fatica ad accettare.
I fatti (i più recenti, visto il ripetersi di casi simili) sono ormai noti: durante gli ultimi Europei di calcio su Twitter impazzavano i commenti satirici, e talvolta davvero inutilmente offensivi, su tutta la comitiva Rai Sport in trasferta in Polonia e Ucraina, compresa la giornalista Paola Ferrari, in effetti particolarmente presa di mira dai “simpaticoni” della Rete.
A differenza dei suoi colleghi però, La Ferrari ha pensato bene di dichiarare pubblicamente la sua intenzione di querelare Twitter per diffamazione. Risultato? Un fiume in piena di tweet ironici sulla giornalista ha invaso Twitter, al grido di #QuerelaConPaola. Ancora oggi, a distanza di oltre una settimana dall’infelice dichiarazione, la Rete ancora si diverte su quell’hashtag.
Tralasciando la fragilità delle basi giuridiche su cui si basa la denuncia ad uno strumento di comunicazione per l’uso improprio fatto da suoi utenti (non siamo di certo di fronte ad una altro caso Napster per intenderci), quanto accaduto è sintetizzabile più o meno così: mi offendono su Twitter, dico pubblicamente che intendo denunciare Twitter per le offese ricevute, moltiplico esponenzialmente le offese ricevute e divento il bersaglio preferito anche di chi fino a ieri non sapeva nemmeno il mio nome. Sembra quasi un’equazione matematica, il risultato è sempre identico.
Ma se invece di ragionare per querele e denunce si decidesse una volta per tutte di affrontare la Rete con la sua stessa arma, ossia la conversazione?

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